“Vorrei andare dallo psicologo ma..”

Sempre più spesso le persone richiedono un supporto psicologico o psicoterapeutico dopo un lungo periodo di sofferenza o per l’esordio di un sintomo evidente e invalidante.
Sembra quindi essere difficile concedersi uno spazio di ascolto e incontro con sé stessi, e con l’altro, senza l’esplosione invasiva del malessere.
Dalle narrazioni dei pazienti durante i primi colloqui emergono chiaramente esitazioni e timori ostacolanti la richiesta di aiuto.
Lavorando con gli individui, le coppie e le famiglie, ho il privilegio di poter
riconoscere come questi vissuti siano trasversalmente presenti, in misura e intensità variabili.

Perché è difficile chiedere un supporto psicologico?
Un mal di denti conduce spontaneamente la persona a recarsi dal dentista,
ricevendo generalmente una diagnosi e una soluzione rapida attraverso una cura farmacologica o un intervento risolutivo.
Analogamente accade per molti altri sintomi del corpo.
Le ragioni per cui ciò non si verifica per il malessere psichico e emotivo sottendono molteplici radici.
Il presupposto universale, spesso inconsapevole, è che il cambiamento e la
crescita spaventano.
A livello personale e relazionale, le dinamiche che provocano sofferenza sono al contempo rassicuranti, costituiscono ciò che si conosce, garantiscono la presenza dei legami affettivi, seppur con modalità disfunzionali, e sovente assicurano la continuità di copioni familiari trasmessi a livello transgenerazionale.
La crescita e il cambiamento, obiettivi inevitabilmente strutturanti la psicoterapia, aprono lo scenario dell’ignoto, di ciò che non si conosce, della possibilità di deludere le aspettative, provocando la paura della solitudine e del distacco dagli altri e da parti di sé.
Inoltre, spesso le persone che giungono in uno studio di psicoterapia provengono da vissuti familiari e relazionali in cui hanno imparato a doversela “cavare da soli”, costruendo un’immagine di sé stessi che non può concedersi fragilità e che fatica a chiedere, poco allenati a riconoscere ed esprimere i propri bisogni.
Un ulteriore elemento di non semplice risoluzione riguarda quindi la possibilità di affidarsi al professionista, alla luce di una “scienza imperfetta”, che lavorando con la complessità del mondo emotivo non può essere riducibile a formule matematiche, teoremi rigidi e tecniche universali.
Vivere la propria sofferenza in solitudine crea infatti l’illusione di poter esercitare un controllo sui propri sentimenti e i propri pensieri.
È convinzione diffusa che un percorso di aiuto non possa cambiare le condizioni ritenute causa di turbamento: il lavoro psicoterapeutico interviene infatti sulla modalità con cui la persona percepisce e si confronta con la realtà esterna, promuovendo consapevolezza e autodeterminazione, incidendo indirettamente sul mondo circostante.
Mettersi in discussione è però un processo complesso che richiede un passaggio fondamentale dal ricercare le colpe esternamente ad assumersi la responsabilità soggettiva.
In una società in cui si rischia di semplificare e normalizzare eccessivamente e in cui si è sempre meno allenati all’attesa e alla frustrazione, sembra quindi essere più comune la ricerca di un antidoto rapido, dello psicofarmaco o del professionista che dispensi soluzioni, non assumendosi la responsabilità del proprio malessere e cambiamento.
Gli aspetti psicologici che ostacolano la richiesta di aiuto possono inoltre essere rinforzati da difficoltà economiche.

L’importanza dell’intervento precoce
Riconoscere i timori insiti nella decisione di intraprendere un percorso di supporto psicologico o psicoterapeutico permette di favorire un dialogo interno che faciliti il movimento rispetto all’immobilità, alla passività e al nascondersi dietro motivazioni pratiche di possibile risoluzione.
Anche le limitate possibilità economiche possono infatti trovare risvolto in percorsi a tariffe sociali proposti da diverse realtà di aiuto.
Contattare le paure permette di affrontarle e di sentire il diritto a stare meglio. L’intervento precoce risulta fondamentale per prevenire l’acuirsi del malessere, l’evoluzione sintomatologica e il coinvolgimento della sofferenza del corpo con fenomeni psicosomatici.

Il ruolo del professionista
Nell’accogliere le persone con la loro sofferenza è fondamentale considerare la paura del cambiamento ed esplorare con loro il tema della fiducia e dell’eventuale difficoltà ad affidarsi.
Esplicitare gli aspetti coinvolti facilita infatti la costruzione dell’alleanza terapeutica, fondata sulla motivazione e sulla fiducia, motore indispensabile per l’avvio e la riuscita del percorso di aiuto.
È infatti la relazione tra professionista e paziente il terreno di costruzione, l’incontro tra due mondi connessi da risonanze e differenze, che permette attraverso la co-partecipazione, l’individuazione e la mobilitazione delle risorse già possedute dalla persona, lo scambio di competenze e la riattivazione del tempo evolutivo che appare bloccato, favorendo un maggiore senso di sé stessi e della propria storia.

A cura della Dott.ssa Giulia Gregorini

Psicologa – Psicoterapeuta