Giovani adulti: precarietà lavorativa e risvolti psicologici

Senso di colpa, rabbia, frustrazione, demotivazione sono i vissuti che accompagnano molti giovani alla ricerca di un’autonomia lavorativa, percepita spesso come lontana e utopica.

Senso di colpa per gravare ancora sulle famiglie d’origine, rabbia verso un sistema che non facilita l’evolversi del “naturale” ciclo vitale e il soddisfacimento dei propri bisogni, sfiducia e demotivazione verso una realtà che non sembra premiare l’impegno.

I giovani adulti (25-35 anni) costituiscono una parte della popolazione italiana protagonista della crisi socio- culturale che sta attraversando il presente momento storico.
L’attenzione psicosociale rivolta alla multi-problematicità di questa fase del ciclo vitale si sintonizza principalmente sull’aspetto pragmatico dell’alto tasso di disoccupazione giovanile, fondante l’elevata percentuale di giovani che non riescono a raggiungere una propria autonomia economica prima dei 35 anni. Parallelamente, molti sono i giovani laureati costretti in impieghi demansionati e sottopagati.

Lo scenario descritto sottende due aspetti fondamentali: la necessità di fornire una corretta informazione spesso carente e una sensibilizzazione rispetto al tema della sicurezza sul lavoro e l’importanza di considerare l’aspetto psicologico, inteso come spazio di ascolto e riflessione con sé stessi, ed eventualmente con un professionsta, in cui poter prendersi cura di sé e dei diversi motivi di sofferenza.

I due livelli, quello lavorativo e quello affettivo, sono infatti interconnessi e si influenzano bidirezionalmente provocando una condizione di “eterna adolescenza” che compromette il benessere del singolo, delle famiglie e della società, incidendo sul basso tasso di natalità e quindi ostacolando la crescita, nel suo senso ampio, del paese.

Il fenomeno del tardivo svincolo dei figli dalle famiglie d’origine rispecchia la profonda crisi identitaria soggettiva e comunitaria che apparentemente coinvolge i giovani adulti ma sotterraneamente include tutte le generazioni.
I giovani adulti sembrano vivere in un tempo sospeso cronicizzato sulla precarietà, mentre il tempo reale cronologico scorre compromettendo il naturale processo di crescita.

La fragilità della dimensione lavorativa non si traduce esclusivamente in un sovraccarico per i genitori e in una frustrazione per i figli, ma anche in una “zavorra” per la società, in un elevato fattore di rischio per il livello medio di salute, considerata in una cornice biopsicosociale, dove vi è una permeabilità tra la parte biologica, quella psichica e quella sociale.

Risulta quindi fondamentale promuovere una sensibilizzazione volta a sostenere i giovani adulti in una ricerca più consapevole di una propria realizzazione, contrastando il rischio di una passivizzazione, promuovendo un ruolo attivo, convertendo il tempo sospeso in un tempo in movimento, di costruzione e di responsabilizzazione; costruendo strade di percorrenza in contrapposizione alle numerose vie di fuga. Promuovere una prospettiva di osservazione che non sia orientata al problema ma incentrata sulla Persona consente quindi di stimolare una nuova concezione del lavoro in cui la frustrazione possa mobilitare il desiderio e l’individualismo, l’isolamento fare spazio alla condivisione e alla comunicazione.

La complessità della tematica che coinvolge molteplici aspetti rischia infatti di non favorire la giusta considerazione dei rischi dal punto di vista psicologico per i giovani e per le famiglie coinvolte nelle medesime difficoltà.

Il tempo evolutivo che appare bloccato facilmente si traduce per i giovani adulti in un passato da idealizzare, sia rispetto alla propria fanciullezza, sia rispetto al confronto con la generazione dei propri genitori che alla stessa età vivevano con molta probabilità un diverso livello di autonomia; un futuro da temere, invaso da paure e incertezze e un presente da cui evadere in cui è difficile “stare” e costruire.
L’autostima, la fiducia in sé stessi e verso l’esterno vengono minate dalla difficoltà nello sperimentarsi in autonomia; l’elevato livello di stress e insoddisfazione protratto nel tempo e non espresso in parola con il giusto supporto psicologico trova spesso “sfogo” nelle manifestazioni psicosomatiche, coinvolgendo la sofferenza del corpo.

Le difficoltà pratiche relative al lavoro che incidono sulle possibilità di autonomia possono inoltre rinforzare fragilità connesse alle aree della dipendenza, dell’ansia, della depressione e dinamiche familiari disfunzionali; innescando un circolo vizioso in cui aspetti interni (psichici) e esterni (ambientali) si alimentano vicendevolmente.

Un rischio fondamentale per i giovani adulti da prevenire è quindi quello di assumere un atteggiamento passivo, colludendo con le difficoltà emotive insite nella crescita e ostacolando la maturazione di un aspetto fondamentale, la responsabilità soggettiva.

L’autoconsapevolezza e la percezione di sé stessi come agenti attivi, capaci di plasmare la realtà circostante sono due importanti fattori protettivi: “anche nelle situazioni dove i condizionamenti fisici e umani sono forti, la persona ha la capacità di trovare creativamente delle soluzioni, di operare scelte e dare significati alternativi nonostante la presenza di condizioni limitanti le scelte stesse” (Scilligo).

A cura della Dott.ssa Giulia Gregorini

Psicologa – Psicoterapeuta