Figli perfetti o invisibili?


Numerose richieste di psicoterapia nascono oggi dal bisogno, spesso sollecitato dalla scuola, di intervenire sul disagio infantile, scolastico, comportamentale, relazionale, emotivo.
Bambini che sviluppano un sintomo, che manifestano un problema, che sperimentano talvolta visibilità attraverso l’espressione di una richiesta implicita di aiuto.
Intervenire con una prospettiva sistemico relazionale sul disagio infantile permette di incontrare la famiglia del bambino e di ricercare insieme i significati relazionali che il sintomo individuale sottende, nonché di attivare le risorse bloccate ma presenti, riconoscendo la competenza genitoriale, spesso provata dai vissuti di impotenza e frustrazione. Il sintomo di un bambino si configura quindi come un’eccezionale possibilità di crescita per l’intero sistema familiare.
Questo articolo si propone di offrire uno spazio di riflessione alternativo, rivolto a quei bambini che apparentemente “non danno mai problemi”, bambini che sembrano “già grandi”, che coltivano prematuramente successi scolastici e rendimenti ottimali.
Esulando dal rischio di problematizzare aspetti “naturali” temperamentali, attitudinali o transitori, l’obiettivo è quello di potersi interrogare sulla possibilità emotiva di espressione dei propri bisogni che un bambino sente di poter avere.
Senza ricorrere necessariamente alla definizione di “bambini adultizzati”, è importante sensibilizzare la consapevolezza sui rischi e i significati che possono celarsi dietro gli aspetti rigidamente e precocemente maturi di un bambino.
Tutti i bambini svolgono una funzione protettiva verso il proprio sistema familiare di appartenenza, partecipano emotivamente sin dalla loro procreazione ai vissuti emotivi che la famiglia attraversa.
I bambini possono non essere resi partecipi consapevolmente di aneddoti dolorosi, di crisi coniugali, di antichi conflitti ma inevitabilmente lì vivono.
Non è auspicabile preservare un figlio dagli aspetti umani di sofferenza, immaginando illusoriamente una campana di vetro ma è fondamentale creare lo spazio di riconoscimento e ascolto dei suoi bisogni.
Un bambino che non da mai problemi talvolta è un bambino che sente che i genitori sono troppo assorti dai propri dolori, adulti fragili che non potrebbero sostenere richieste altre.
Talvolta la loro espressione di malessere non legittimata attraverso il comportamento e la parola si manifesta con il corpo, sviluppando sintomi psicosomatici.
Inconsapevolmente sono bambini che possono percepirsi come fonte di soddisfazione per mamma e papà, sentendo di non poterli deludere.
La delusione è invece fondamentale per crescere e per essere esperita richiede che un figlio senta la profonda consapevolezza di essere amato dai suoi genitori indipendentemente dai propri traguardi e insuccessi.
Un bambino che ha fatto esperienza di un’illusoria infallibilità con molta probabilità diventerà un adulto con alte e rigide aspettative verso se stesso, orientato al senso del dovere e poco incline ad affidarsi e a potere contattare e esprimere i propri bisogni, spesso coinvolto in alti livelli di ansia da prestazione.
Lavorare con le famiglie nella mia esperienza clinica mi offre la straordinaria possibilità di riconoscere come, laddove c’è più di un figlio, i fratelli tendono inconsapevolmente a “dividersi i compiti”, il “figlio bravo” (solitamente il primogenito), che sperimenta visibilità attraverso i propri successi e “il figlio problematico” che la ricerca “dando problemi”.
La psicoterapia familiare diviene quindi un territorio privilegiato dove poter ribilanciare le parti, rendendo le funzioni più flessibili in favore di un incontro con e tra le persone.
È quindi fondamentale anche per i clinici non colludere con la rigida “spartizione dei ruoli” ma incuriosirsi del bambino che sta composto sulla sedia quanto di quello che mette a soqquadro la stanza di psicoterapia, stimolando nei genitori la medesima attenzione.

A cura della Dott.ssa Giulia Gregorini

Psicologa – Psicoterapeuta