Coronavirus in Italia: dalla ricerca dei colpevoli all’assunzione di responsabilità. Una lettura psicologica del fenomeno a cura della Dott.ssa Giulia Gregorini

Il momento critico che il nostro paese sta attraversando mi ha permesso di riflettere da cittadina e da psicoterapeuta sui risvolti psicologici fortemente implicati nel “fenomeno Coronavirus”. Esulando dal rischio di semplificare una realtà complessa e dipinta di molteplici sfumature mi sono interrogata sulle dinamiche relazionali che la crisi in atto mi ha permesso di fotografare. Ho letto e ascoltato interventi utili volti alla rassicurazione a alla gestione dell’eventuale panico paralizzante, comprensibilmente mossi dalla mission di supporto fondamentale. Il presente articolo si propone un obiettivo alternativo, non orientato alla rassicurazione ma alla consapevolezza. Da un punto di vista simbolico e sistemico noi cittadini siamo inconsciamente in una posizione di figli rispetto alle istituzioni, che evocano il ruolo genitoriale che dovrebbe guidare, orientare e proteggere e in posizione di fratelli rispetto agli altri cittadini comuni. La comunicazione tra persone e istituzioni è veicolata dai mass media che possono costituire un ponte fondamentale ma anche un terreno scivoloso e confondente. Accanto a coloro che seguono scrupolosamente le indicazioni diffuse, vi sono persone che continuano a non modificare le proprie abitudini, percependo il pericolo distante da sé o assecondando il pensiero fatalista e persone che rischiano una compromissione disfunzionale della propria vita spinti dalla fobia. Se da una parte la fatica ad osservare collettivamente le raccomandazioni trasmesse può testimoniare la sfiducia e la rabbia verso le istituzioni, le difficoltà connesse alle ripercussioni sul piano economico e il meccanismo di difesa della negazione della vulnerabilità, è importante rilevare elementi di riflessione altri che sembrano appartenere alla nostra comunità in questo tempo, risvegliati dal corpo estraneo Covid19.

Quali sono gli aspetti psicologici principalmente coinvolti a livello collettivo?

Confini: la possibilità di delineare confini chiari tra sé e l’altro è un processo che si acquisisce a partire dalla propria esperienza familiare d’appartenenza e si sviluppa nel corso della crescita. I confini esprimono il livello di vicinanza e separazione all’interno delle relazioni, consentono di definire il proprio spazio personale restando in contatto con l’altro, condividendo mantenendo una sfera privata. Esperienze di confini diffusi, di relazioni fusionali, che minacciano la propria espressione individuale possono più o meno inconsapevolmente condurre a proporre confini rigidi, che trasmettono distanza e assenza di condivisione e intimità per proteggersi dal timore di essere invasi. Il rischio che si sta verificando è duplice, da una parte si ricerca una spiegazione lineare e razionale identificando nelle persone di nazionalità cinese i colpevoli, eliminando i contatti con gli ambienti precedentemente regolarmente frequentati solo per la loro presenza seppur non connessa a contatti recenti con le zone e la popolazione a rischio; dall’altra si aumenta la fusione con la propria comunità di appartenenza sottostimando la necessità di adeguate distanze interpersonali, permanendo ambienti affollati.

Intimità: l’intimità è desiderata ma sempre più temuta in un tempo storico e sociale che sembra strutturarsi sulle connessioni, perdendo la capacità di stare in relazione. L’esperienza del contagio può confermare la teoria arcaica e inconscia che “la vicinanza è una minaccia”, sollecitando ansia e angoscia non connesse alla specificità del rischio. Un’elevata ansia non permette un’adeguata percezione della realtà e l’attuazione dei relativi comportamenti adattivi e funzionali.

Rispetto delle regole: in un tempo in cui l’educazione sembra polarizzarsi sulla dimensione affettiva, compromettendo la necessaria integrazione con la dimensione normativa, strutturata su limiti e regole definite, quanto siamo allenati al rispetto delle regole? La predisposizione sembra essere quella di trasgredire, di non accettare indicazioni provenienti dall’altro, al di là dei ruoli e delle competenze. Nelle famiglie odierne è infatti sempre più complesso identificare ruoli chiari e differenze generazionali, che sembrano appiattirsi e confondersi, provocando la medesima difficoltà nell’ambiente sociale extra-familiare. Conseguenza naturale è la mancata esperienza della frustrazione, “dei no fondamentali che aiutano a crescere”. La riduzione delle attività sociali può infatti comportare un elevato livello di frustrazione, che può essere amplificato da dinamiche familiari complesse da cui si vorrebbe evadere.

Stare in contatto con sé stessi: i ritmi che normalmente scandiscono la nostra quotidianità sono spesso frenetici strutturati su numerose attività. Il rischio è che il fare, talvolta compulsivo, allontani dalla possibilità di sentire. Sembra più semplice curarsi dell’esteriorità che ascoltare la propria interiorità. Fermarsi quindi apre ad una possibilità inedita quanto temuta: stare con sé stessi.

Adolescenza prolungata: la tardiva età di svincolo dei figli dalle famiglie d’origine è un tema ampiamente discusso, che coinvolge aspetti economici, lavorativi ed emotivi. Parallelamente la confusione di ruoli protagonista delle nuove realtà familiari invita a riconoscere quanto sia difficile raggiungere una posizione adulta, contraddistinta dall’assunzione della responsabilità soggettiva.

Diffusione di responsabilità: la tendenza comune è quella di ricercare all’esterno da sé stessi i colpevoli, occupando una posizione passiva e delegando completamente la responsabilità della propria condizione. L’obiettivo a cui auspicare non è la colpevolizzazione dell’altro ma la ridistribuzione della responsabilità, partendo dalla propria e dalla personale possibilità di incidere sulla realtà.

Paura del diverso: la diversità fa paura e un virus rappresenta un corpo estraneo che si insidia dentro e fuori di noi, che sfugge al nostro controllo. Analogamente fa paura l’altro, che è sempre diverso da noi ma i tratti somatici, la nazionalità e la cultura di appartenenza possono illudere che l’eterogeneità sia attribuibile alla geografia. 3 Questo momento ci chiama quindi a riconoscere e ricordare ciò che Jung citava “in ognuno di noi c’è un altro che non conosciamo”, rilevando la possibilità di una maggiore consapevolezza di sé per incontrare con maggiore libertà l’altro.

Conclusione

Per i cristiani questo è il tempo di quaresima, un invito alla conversione e quindi alla trasformazione. La crisi, come il significato etimologico esplicita (dal lat. crisis, dal gr. krísis ‘scelta, decisione’ •sec. XIV.), è un’opportunità di crescita e trasformazione. Acquisire consapevolezza è il primo passo per poter realizzare un cambiamento. L’auspicio è quindi quello di riscoprire in un momento di oggettivo pericolo la possibilità di proteggersi coscienziosamente e non di difendersi ciecamente; la capacità di rallentare rispetto all’abituale frenesia; il valore della vicinanza senza il bisogno di ricorrere a invasioni o distanze di sicurezza; l’importanza di conoscere liberandosi dal vincolo del sordo giudizio, riscoprendo il bisogno di appartenere senza dipendere o rinnegare la propria identità ma assumendosi la responsabilità verso sé stessi e gli altri, trasformando un tempo di arresto in uno spazio di crescita.

A cura della Dott.ssa Giulia Gregorini

Psicologa – Psicoterapeuta